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Note biografiche di Anna Claudi

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ANNA CLAUDI

«la regina dei pittori naifs» Stefano Cairola

Nata a Serrapetrona il 28 marzo del 1894, Anna trascorre felicemente la sua infanzia circondata dalle attenzioni di due suoi vecchi zii, un medico e un prete, che saranno per lei due ineguagliabili e amabili precettori. Il suo innato amore per la natura la porta a trascorrere in solitudine le giornate nel verde delle colline circostanti quasi a fissarne le immagini che fin da bambina comincia a disegnare nei suoi quaderni di scuola. Nel corso degli studi classici frequentati a Camerino, sposa, appena diciassettenne Adolfo Claudi, che sostiene ed incoraggia il suo amore per la pittura. Ancora giovane, Anna Claudi incontra Mario Adami, affreschista romano, ritornato da Parigi, dove ha frequentato alcuni degli esponenti principali dell’Impressionismo francese, tra i quali Pierre-Auguste Renoir. Grazie al rapporto con Adami, che nell’Italia centrale aveva affrescato saloni di palazzi gentilizi e chiese, Anna apprende la tecnica del ritratto e quella dell’affresco. Fedele al suo maestro, le prime produzione della Claudi saranno affreschi e decorazioni eseguite nelle case e nei palazzi da lei abitati (come in queste stanze di Palazzo Claudi).

Le prime mostre della Claudi rispecchiano la matrice internazionale che caratterizzerà sempre la sua dimensione artistica. Le sue opere, infatti, saranno esposte nel 1936 a Trento ed Ancona, nel 1937 a Parigi e nel 1939 a Macerata. A partire da questi iniziali riconoscimenti, Anna Pioli decise, nel 1939, grazie anche alla comprensione di suo marito Adolfo, di trasferirsi a Roma.

Il trasferimento a Roma si rivelerà decisivo per lo sviluppo ed il prestigio culturale ed economico di tutta la famiglia. Sempre nello stesso periodo, la Claudi acquisterà e gestirà, insieme ad importanti medici romani, per un decennio la casa di cura Villa Bianca Maria, clinica all’avanguardia per l’epoca, dato l’impiego di procedure ed attrezzature mediche molto avanzate. Tale operazione imprenditoriale sarà decisiva per la crescita e lo sviluppo professionale del figlio Vittorio, ultimo figlio dei Claudi. Oltre al valore medico, la Clinica, durante il periodo della Seconda guerra mondiale, diede sostegno all’attività partigiana dal Novembre del 1943 al Giugno del 1944. Nel diario di Vittorio sono menzionati, oltre a questo, molti altri fatti ed eventi che hanno reso la Clinica protagonista della lotta al Fascismo, in particolare per quanto riguarda il soccorso continuo prestato agli ebrei romani dall’allora monsignor Montini: «I primi [ebrei] ci erano stati raccomandati dal Vaticano a mezzo del nostro direttore sanitario Dr. Valletti, amico fraterno del marchese Salviucci, bibliotecario del Vaticano […] poi i contatti erano divenuti diretti tra un certo monsignore Montini e mia madre e per almeno tre volte mia madre fu da questi invitata ad andare a parlare in Vaticano di nascondere questa coppia o quella famiglia di ebrei».

Conclusa la lunga e nefasta parentesi del secondo conflitto mondiale, l’attività artistica della Claudi riprende nel giugno del 1950, partecipando all’esposizione romana della Finestra. L’ambiente romano permette ad Anna Claudi di entrare in contatto e stringere amicizia con vari artisti e scrittori della capitale. Sempre a Roma, la Claudi partecipa nel 1953 ad altre mostre, presentate rispettivamente da Marcello Venturoli e Nicola Ciarletta. Nel 1952 invia a New York un gruppo di opere che vengono acquistate da vari collezionisti. Nel dicembre del 1954 la Claudi ritorna a Parigi e sotto la supervisione del gallerista milanese Stefano Cairola, viene organizzata all’Odeon di Parigi una mostra personale dedicata alle opere della pittrice marchigiana. Molti sono i documenti presenti in archivio che testimoniano la risonanza dell’evento, in particolare l’intervista rilasciata da Anna Claudi alla radio francese.

Nel marzo del 1955 Anna espone, alla presenza del re Umberto II, alcune sue opere nelle sale di palazzo Foz a Lisbona. Negli anni seguenti tiene altre mostre in altre città italiane ed europee come Forlì, Milano, Cantù, Arezzo, Bari, Anversa e Vichy. Molte sono le opere di Anna Claudi acquistate da collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

Di animo malinconico e solitario, dopo la partecipazione al IX° premio del Maggio di Bari nel luglio 1959 Anna cominciò ad allontanarsi dai vari salotti della pittura italiana. In una lettera del 1958 al figlio Vittorio, Anna scrive: «ti dico la verità è per me un supplizio sentire questi discorsi vuoti stupidi, senza riuscire a trovare nulla che possa interessarti: ma se questa rappresenta la vita di oggi, la dolce vita ti senti come soffocato dalla bava di mille lumache. Il brutto è che non puoi vomitare addosso a nessuno lo schifo che ti fanno tutto e tutti. Dio mio si vede proprio che invecchiando salta fuori tutta l’avversione che ho avuto sempre per l’umanità e quindi tolte le poche perle [N.d.T.] che ho incontrato nella vita e che hanno dato vita al mio spirito il resto è cimitero [N.d.T.]». La sua attività pittorica assunse sempre più quelle tinte favolistiche e intimistiche, analoghe al pensiero e alla poetica del suo figlio maggiore Claudio. L’attività artistica degli anni Sessanta e Settanta è caratterizzata per la Claudi da un senso di estraneità rispetto al mondo pittorico romano ed italiano, un ambiente che lo stesso Cairola definisce ridondante e vacuo.

Cairola e il figlio Claudio furono i grandi sostenitore dell’attività artistica della madre. In particolare il figlio introdurrà la madre nei vari ambienti e circoli culturali da lui frequentati. Emblematica per comprendere il valore e l’opera pittorica della Claudi è una lettera di Cairola del 9 settembre 1971 dove quest’ultimo definisce la Claudi «la regina dei pittori naifs». Nonostante questo riconoscimento, Anna Claudi non si considerò mai una vera e propria pittrice. Anna è una donna che ha cercato, attraverso gli strumenti della pittura, di raccontare ed esprimere quelle esigenze profonde dell’animo umano che ci spingono ad immaginare un mondo ulteriore e trasognante, quel mondo favolistico rappresentato perfettamente dai suoi numerosi quadri.

Anna Claudi si spegnerà a Roma il 12 maggio 1976 raggiungendo, forse, quel mondo fantastico protagonista dei suoi “favolosi” quadri.

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RICORDO DI ANNA CLAUDI
Le Ragioni critiche, n°23 – gennaio-marzo 1977
Nel maggio dello scorso anno è mancata a Roma, dove si era domiciliata da molti anni, la pittrice marchigiana Anna Claudi, mamma di Claudio Claudi prematuramente scomparso, autore d’un libro di Poesie (Rebellato ed., 1973, con prefazione di Giacinto Spagnoletti) di cui il nostro Giuseppe Antonio Brunelli si è occupato nel n. 12 di questa rivista. Qualche settimana prima era uscito un volume splendidamente illustrato da 120 tavole, di cui molte a colori, che riproducono una scelta antologica della sua pittura, con un saggio critico del poeta e fine intenditore d’arte Libero De Libero: Anna Claudi (Silvana Editoriale d’Arte, Milano 1976).
Nonostante la signorile riservatezza era molto stimata, per alcune mostre tenute in Italia e all’estero (particolarmente importanti quelle di New York, Parigi e Lisbona). Critici e scrittori illustri si sono occupati con impegno della sua arte, e in questo bel volume sono riportati alcuni giudizi di Michele Biancale, Adolphe de Falgairolle, René Domergue, Guglielmo Petroni, Enrico Piceni, Marcel Sauvage. E pensiamo tuttavia che questo saggetto del De Libero non sia una conclusione quanto piuttosto uno stimolo, un invito a uno studio più largo e profondo dell’arte di questa pittrice di cui tutti hanno messo in rilievo la complessa personalità, a cui non si può sbrigativamente affibbiare l’appellativo di naive. Infatti i naifs,i cosiddetti pittori della domenica, si assomigliano tutti perché ugualmente impegnati negli stessi problemi, diremmo, di grammatica e sintassi figurativa. La Claudi è ben altro, perché, nonostante la modestia e semplicità dell’indole personale, che subito colpivano chi aveva il privilegio di frequentarla assiduamente con devozione e affetto, la sua tecnica pittorica è molto esperta, raffinatissima, e il suo stile è inconfondibile.
     Benché si siano fatti parecchi nomi, come suoi ascendenti d’arte, nessuno di essi può considerarsi determinante, perché la Claudi era un’artista d’istinto, che fin dall’inizio della sua lunga carriera aveva rivelato i caratteri che poi le sono rimasti fondamentali: la trasfigurazione della realtà e del paesaggio in una favola inquietante, e una raffinatezza di colori, una levità capricciosa e ingenuamente artificiosa che risentono chiaramente – questo sì – della pittura giapponese. Infatti un certo decorativismo è parte essenziale di ogni invenzione di questa pittrice che tratta la figura umana alla stessa stregua degli alberi, degli animali, delle nuvole. Nei suoi paesaggi – le sue opere di gran lunga più numerose – gli uomini e le donne (deliziose in quei lunghi vestiti d’altra epoca, con ombrellini sollevati in alto, come cupole d’un pallone che voglia rapirle in aria), sono appena accennati come sagome che si confondono con i fiori di tutte le dimensioni, che gremiscono i prati. E non sono paesaggi idillici: alcuni di essi han fatto pensare a un mondo appena creato o ancora in formazione, ed altri a un mondo stravolto da una distruzione nucleare. Siamo davanti a una complessità di motivi – tutti unificati dallo stile – davvero inquietante: delicatezza, ironia, drammaticità, grazia, provocazione. La vocazione pittorica della Claudi, ripetiamo,è tutta d’istinto, è un dono di natura; e perciò non ha avuto un vero e proprio sviluppo. Le date dei quadri non sono dunque significative. Eppure lei aveva cominciato come ritrattista, anche se pure nei ritratti faceva lievitare la realtà al soffio d’una visione che andava oltre di essa. Poi, ben presto, si era dedicata alla natura morta e al paesaggio, secondo un istinto infallibile, e con una fecondità che non si può spiegare se non appunto come un dono di natura, non turbato da intellettualismi.
     Come l’arte giapponese per noi occidentali, anche questa della Claudi sembra fuori del tempo; ma naturalmente non lo è. Ed è anche evidente che tanta eleganza e squisitezza e ariosità d’invenzione, per cui realtà e sogno pur non rinunziando ai loro connotati si confondono in altro, siano anche piacevoli.
     Per concludere vogliamo riportare il giudizio di Guglielmo Petroni, che ci sembra il più chiaro e preciso, e il più sintetico: «Che cosa dire di fronte ai quadri di Anna Claudi? Specialmente in pittura, ed in particolare da parte di donne, spesso si assiste a manifestazioni delle quali sarebbe inutile tentare una ricostruzione; di dove vengono, che cosa sono? Meglio soffermarci, guardare, meravigliarsi ed accettare il mistero della loro genesi. – I quadri di Anna Claudi sono dipinti con la bravura di un giapponese che spesso si mischia alla drammatica precisione dei fiamminghi. La fantasia delle figurazioni realizzate è anch’essa un incrocio veramente stupefacente che nessuno saprà ben dire quanto sia casuale e quanto sia voluto, quanto venga per strade misteriose e incontrollabili e quanto venga invece da reminiscenze più o meno consapevoli. – Certo è che Anna Claudi rappresenta un fenomeno dei più appassionanti.»
PAOLO MARLETTA